Caro genitore: la scuola non è il tuo campo di battaglia.

Oggi ho letto questo estratto scritto da Natalia Ginzburg e mi ha fatto riflettere…  ho ripensato al mio passato tra i banchi di scuola come studentessa e figlia e a come tra non molto vivrò questa fase dall’altra parte de campo da gioco, ovvero quello del genitore.
Quello che c’è scritto qui sotto è esattamente ciò che ho sempre pensato, da bambina, da adolescente e anche adesso (visto che alla fine mi sono realizzata come persona proprio grazie a quello che facevo al posto di studiare 😉 ). Quello che mi chiedo però è: sarò in grado di continuare a pensarlo anche quando vivrò di nuovo tutto come mamma? Saprò mantenere le distanze, soprattutto emotive? Saprò tenere per me le aspettative? Riuscirò a ricordare che quello non è il MIO campo di battaglia e non è la mia vita che si sta svolgendo…?
Spero di sì… in caso, tornerò a leggere questa pagina 🙂

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“Al rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare un’importanza che è del tutto infondata. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio.

Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta un’offesa. Allora i nostri figli, tediati, s’allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle loro proteste contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d’una ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni.

In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello è un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e illusorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, è necessario lasciargli intendere che non c’è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d’esser continuamente incompresi e misconosciuti, e di essere vittime d’ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia noi stessi.

I successi o insuccessi dei nostri figli, noi li dividiamo con loro perché gli vogliamo bene, ma allo stesso modo e in egual misura come essi dividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o insuccessi, le nostre contentezze o preoccupazioni. È falso che essi abbiano il dovere, di fronte a noi, d’esser bravi a scuola e di dare allo studio il meglio del loro ingegno. Il loro dovere di fronte a noi è puramente quello, visto che li abbiamo avviati agli studi, di andare avanti.

Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma in altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di rimproverarli, di mostrarci offesi nell’orgoglio, frustrati d’una soddisfazione.

Se il meglio del loro ingegno non hanno l’aria di volerlo spendere per ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una penna, neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra ozio è in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti.

Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere romanzi stupidi, o scatenati in un prato a giocare a football, ancora una volta non possiamo sapere se veramente si tratti di spreco dell’energia e dell’impegno, o se anche questo, domani, in qualche forma che ora ignoriamo, darà frutti. Perché infinite sono le possibilità dello spirito.

Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico dell’insuccesso. I nostri rimproveri debbono essere come raffiche di vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa oscurare la natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidarne la limpidità e la pace. I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha mortificati. Siamo anche là per fargli abbassare la cresta, se un successo li ha insuperbiti. Siamo per ridurre la scuola nei suoi umili ed angusti confini; nulla che possa ipotecare il futuro; una semplice offerta di strumenti, fra i quali forse è possibile sceglierne uno di cui giovarsi domani.

Quello che deve starci a cuore, nell’educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l’amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato d’attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos’è la vocazione di un essere umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita?”

(Natalia Ginzburg, Le piccole virtù,  1960)


 

Io ho sempre avuto uno strano rapporto con la scuola. Nonostante fin da piccola sia sempre stata molto curiosa e vogliosa di imparare, non sono mai stata una grande amante della scuola. Alcune materie mi piacevano (di solito per merito dell’insegnante che le rendeva appassionanti) per altre invece avevo proprio un rifiuto. In generale ero sempre con la testa fra le nuvole, durante il giorno “perdevo tempo” ritrovandomi poi a fare i compiti a mezzanotte. Ho avuto i miei alti e bassi, sono stata bocciata un anno e poi mi sono diplomata con 82… ma in tutto ciò, ho sempre considerato la questione un MIO problema.

Mia madre mi ha dato supporto quando ho avuto bisogno di ripetizioni, a volte rompeva un po’ ma non mi stava con il fiato sul collo. Se saltavo la scuola non venivo sgridata e non mi veniva mai chiesto che voto avessi preso al tal compito (al massimo ero io che se volevo lo dicevo). In poche parole sapevo che quel che facevo a scuola lo facevo per me stessa e non per far piacere ai miei genitori (o per far loro un dispetto o per attirare l’attenzione, andando male).
Sapevo che la scuola era una cosa importante ma non la più importante (almeno per me) e infatti mi concentravo più su altre cose che alla fine mi hanno portata su quella che era la mia strada.

Certo, se un bambino/ragazzo non solo non si impegna particolarmente a scuola, ma non ha nemmeno altri interessi, passioni, curiosità…beh lì vuol dire che qualcosa non va davvero, che c’è un problema da risolvere. Ma non è comunque assillandolo riguardo ai risultati scolastici che lo si aiuterà.

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